Archive of ‘Blog’ category

Verso l’Estonia – Ultimi giorni (Abbracciati dal Lago)

10,11 e 12 Luglio 2017 – Diario di viaggio 

Il cerchio è finito, cominciato con l’entusiasmo, poi l’improvvisa disperazione, poi la rinnovata fiducia e la ricerca di una strada nascosta nei dettagli. Infine il coraggio di rompere ogni barriera e prendersi per mano, io e quei due sconosciuti che sono diventati i miei compagni di qualche ora, gettarsi nel lago nero e per istanti di terrore pensare di cadere spaventati. Essere abbracciati dall’acqua, stretti nella morsa di un freddo doloroso e uscirne selvaggi, nudi, nati una seconda volta e portando con sé la vittoria su quel mostro che ci terrorizzava.

Lo racconto con un’enfasi che può sembrare costruita come a me è sembrata costruita decine di volte quella di alcuni viaggiatori che mi hanno sfiorata, eppure l’intensità con cui riesco a sentire quelle sensazioni, ancora oggi a distanza di giorni, e la sofferenza del dovermene andare, di dover terminare questo viaggio, dire addio a posti e persone, è più reale di quanto non si possa descrivere. Sembrerà che abbia costruito una storia, invece l’ho vissuta, ho toccato i suoi confini surreali con la stessa sorpresa di chi potrebbe leggere e chiedersi se non siano cose che capitano solo ad alcuni rari esseri umani. No, non lo sono. Sono capitate a me, che sono come chiunque altro, avevo uno zaino, il desiderio di vivere più esperienze possibile, e nient’altro. Solo il coraggio di cambiare programmi che progettavo da mesi e la prontezza di cogliere le opportunità, decine, che si aprivano davanti ai miei occhi. È una cosa che può accadere a chiunque, dovrebbe accadere a tutti, vorrei che ognuno fosse investito dallo stesso stupore con cui ho dovuto accogliere le gentilezze e tutto quel bene che mi ha travolta. Non è normale ma succede. Nella realtà del viaggiatore, forse nella realtà di ogni giorno. E ciò che più mi lacera è il rendermi conto che questa sensazione di un cammino illuminato e colmo di senso, questa visione chiarissima che ho di un mondo dove qualcosa c’è, esiste e ci protegge, presto svanirà in un ricordo appiattito, in cui quei ragazzi non saremo più “noi”, quel lago non sarà più il “mio”, quelle esperienze saranno solo una “storia” e gli indizi di questa fede nell’universo e nel suo senso saranno nuovamente fragili leggende che penserò di essermi raccontata in un momento di sobria ubriachezza.
Non è così.
C’è qualcosa, riesco a vederlo, lo sento perfettamente, e ogni due anni torna a urlarmi nelle orecchie. Che c’è di più. Nei riflessi dei commoventi tramonti sul lago Verevi; nella placidità delle sue gelide acque notturne; nel sorriso timido di Alden; nella compagnia di Pavel e nella provvidenzialità di Dmitri; nella generosità e nell’interesse di Thomas e Sandra; nella ragazza che mi ha aiutata a trovare la fermata, nella coppia che mi ha offerto un passaggio in macchina, nelle persone che hanno insistito per farmi più scatti e trovare il migliore, nel professore che mi ha fatto una lezione di architettura in aereo risparmiandomi ore di noia.

Nelle parole di Martin, che prima di tuffarci me l’ha detto: quando sono venuto ad Elva, non immaginavo che d’ora in poi l’avrei ricordata come quel posto in cui incontrai una ragazza che aveva attraversato tremila chilometri per vedere un lago. Ogni volta, d’ora in poi, pensando ad Elva penserò a te.

E per me siamo ancora lì, con i piedi immersi nelle sue acque, sapendo che prima dell’alba troveremo il coraggio per fare quel tuffo, ricordarci per sempre lì. E infine dirci addio.

O a presto.

abbracciati dal lago

Verso l’Estonia – Giorni 2 e 3 (Straordinaria magia)

8 e 9 Luglio 2017 – Diario di viaggio (Giorni 2 e 3)

Tre giorni e il mondo mi sembra già cambiato. Non ho mai capito i racconti dei viaggiatori, con i loro rischi risolti da una straordinaria buona sorte, con i loro incontri tanto positivi e il loro spirito di incontrollata spontaneità che si manifesta in comportamenti tanto irresponsabili. Anzi, credo di aver sempre pensato che queste persone fossero rare, speciali, diverse da me e da chiunque io conosca, fatte poche eccezioni, e che fossero vegliate da un’invidiabile fortuna. Eppure sono qui, mi manca il fiato al pensiero di quello che ho vissuto, della consapevolezza che questa fortuna non sia al di fuori di noi: sono le persone a vegliare sui viaggiatori, o i viaggiatori stessi che riescono a cogliere intorno a loro gli indizi per risolvere ogni cosa. Lo sto provando sulla mia pelle, incontrando persone incredibili, ricevendo così tanto aiuto da qualsiasi posto. Mi mancano le parole per descrivere questa sensazione, potrei definirla una magia, dimenticare per un attimo tutto quello che ho studiato o conosciuto e abbandonarmi all’impossibilità di tracciarne i confini. Magia è tutto ciò che sto vedendo intorno a me. Avrei voluto fare un diario più accurato e costruito ma col senno di oggi è impossibile. Davanti a me ancora tre giorni, stavolta ad Elva, eppure Tallinn la porterò dentro a lungo, costruirò una solida rete di ricordi e cercherò di fare come fanno invano tutti i viaggiatori: affidarla a chiunque incontri, raccontarla fino allo stremo, portare la magia ovunque sia possibile, consapevole che le sole parole non le renderanno giustizia.

magia

Verso l’Estonia – Giorno 1 (Sentirsi forti)

7 Luglio 2017 – Diario di viaggio (Giorno 1) 

È difficile non cadere nella retorica quando si cerca di raccontare esperienze come quella che sto vivendo. Il mio arrivo a Tallinn è stato sorprendentemente diverso da come l’immaginavo: sono stata felice per qualche secondo nel suo minuscolo, delizioso aeroporto, prima di scoprire con mio profondo sgomento che il bagaglio da stiva era davvero disperso – a Roma si direbbe che me la so tirata. Così ogni passo fatto verso l’autobus è stato pesante come non mi sarei mai aspettata, mi trovavo sola per la prima volta, senza vestiti, senza alcun tipo di comodità, senza alcuna delle cose che avevo così minuziosamente preparato. E sapevo malapena dove andare, sbagliando ben due volte la direzione, sempre più disperata, stanca, tremante all’idea di quello che avrei dovuto affrontare senza alcun aiuto. Difficile non immaginare l’ilarità della situazione, specie alla scoperta del receptionist che non capiva neppure la più banale delle parole in inglese, e che al mio trovare la soluzione – Google Translate – mi ha prestato entusiasticamente il suo computer dalle scritte in cirillico. Ma non potevo far altro che andare avanti e portare questo fardello fino ad un ristorante – che per la cronaca non trovavo, dal momento che il mio hotel si trova in un nero abisso d’oblio a 4km da Tallinn.

È qui che subentra la retorica, perché da quel momento in avanti ho ricevuto in poche ore ben più di quel che avevo perso. Ho incontrato degli splendidi esseri umani che sono stati capaci di farmi sentire a casa come non non credevo possibile, mi hanno portata all’unico market aperto a quell’ora insistendo per comprarmi ciò di cui avevo bisogno. Mi hanno trascinata ia casa loro, offerto un té, la cena e il loro aiuto, non hanno voluto nulla in cambio. A fine serata non ho dimenticato di aver perso la mia valigia ma ho ricominciato a provare quella sensazione provata ormai due anni fa, quando uscivo di casa quasi a mani vuote e sentivo che, pur non desiderandolo, avrei potuto fare a meno di tutto. E questo mi ha fatta sentire forte.

DSCF2409

Verso l’Estonia – Giorno 0 (L’Ansia)

6 Luglio 2017 – Diario di viaggio (Giorno 0) 

È tutto pronto.
L’abominevole presenza della valigia è ancora sul pavimento, ogni tanto la guardo e spero si sia preparata da sola, che abbia recuperato gli oggetti mancanti e si sia trasformata in un’
àncora e non in un ancòra. Anzi, l’ àncora no, che tra cinque chili oltrepasso il limite di peso massimo e poi resto nel limbo dei viaggiatori che non sanno separarsi dalle loro cose. Ancòra no.
Allora, sto solo sette giorni:
dieci paia di calzini, dieci di mutande, tre collant, tre magliette a maniche corte, tre lunghe, due vestiti, due maglioni chiusi, due maglioni aperti, un jeans, un pantalone corto, una gonna corta, tre paia di scarpe. Potrei restare lì per sei mesi, adesso, ma tanto non riesco ad eliminare nemmeno le quattro collane che mi sono portata, il potpourri per profumare la valigia, il cavalletto di riserva per la macchina fotografica. Ho bisogno di questo viaggio per alleggerire l’anima, ma le spalle non so come torneranno. Se torneranno. Ma quand’è che ho ricominciato a voler controllare tutto?

La valigia è ancora lì, comunque. Ancora aperta. Ancora strapiena. Io devo uscire e vorrei avere un’altra settimana per finirla, ma domani parto e il maglione pesante non riuscirò comunque a farcelo entrare. Neanche gli stivali da pioggia, che poi erano i più importanti. Neanche il bagnoschiuma. I biglietti aerei forse sì.

Domani parto per Tallinn, il primo viaggio da sola, il primo viaggio per cui abbia provato un tale entusiasmo – dentro di me sono partita da tre mesi ed è così bello, lì, che ho quasi paura di vederlo davvero. Ho prediletto l’Estonia più che Tallinn – che è stata una città collaterale – perché un giorno di due anni fa l’ho solennemente scelta come il posto in cui avrebbero vissuto i personaggi di una mia storia. E adesso loro sono lì da due anni, fermi e interrogativi – in un racconto mai finito, come da tradizione – ed io voglio andare a cercarli. Voglio andare a cercarmi, oltre i boschi che ho solo immaginato. Oltre il lago in cui mi sono bagnata decine di volte ma che non ho mai toccato. Oltre la paura di aver di nuovo dato la vita senza il coraggio di darle un senso o una conclusione – vado lì in viaggio, e come ci si aspetta in ogni viaggio, dovrò tornare e spero di farlo portando con me il senso di aver vissuto quei posti così a lungo e di averne fatto la casa per il mio spirito.
Sono già lì che mi aspetto, e nel frattempo prego che la valigia non si perda nei cieli internazionali e arrivi tutta intera a destinazione. Che se no mi scatta il Cesare Pavese.Verso l'estonia 

Durante l’amore, e anche dopo

Ogni volta che rimanevi insonne nel letto – ed ultimamente accadeva spesso – avevi l’abitudine di cacciare il fluire di pensieri con qualche parola mormorata che non aveva effetto. Il disagio non durava moltissimo, perché alle prime luci del giorno qualcosa in te ricordava di doversi assopire. Così ogni volta che la sognavi l’avevi pensata, in quei fiumi di idee notturne, almeno per un secondo. Bastava visualizzarla: non solo nei movimenti ma nelle parole che pronunciava nei tuoi ricordi, o nel sapore dei momenti condivisi in passato, bastavano quelle brevi immagini a popolare di lei almeno la metà dei tuoi sogni.

Ti aveva allontanata dalla sua vita anni addietro e nel frattempo, in quei quadri onirici e colmi di realismo, la vostra storia continuava. Prima venivi ignorata, poi perdonavi ed infine eri perdonata. Per decine di volte facevate la pace e tornavate ad essere delle buone amiche, le stesse che eravate un tempo, durante l’amore e anche prima, e anche dopo. Così la vostra storia aveva confini molto più lontani di quelli che lei aveva disposto, confini che divennero il rifugio del tempo, perché esso lì non esisteva che come ricordo lontano, ed ogni notte si rinnovava offrendo nuove immagini al racconto di voi due.

Non vi siete più riviste, sentite solo a volte, così di rado che sarebbe stato più semplice dimenticarsi. Solo tu sai quante volte l’hai incontrata ancora dopo quel giorno, quante volte l’hai riabbracciata e quante volte le sei andata incontro con l’entusiasmo che avresti davvero, se solo fossi certa di non essere indesiderata. Così ieri notte la sognavi, aveva i capelli corti e neri come la prima volta, il vestito blu e il portamento sicuro che avevi sempre sperato di vederle addosso. E viveva in un’enorme nave, attraversava il mondo, era l’ignaro capitano, era la Donna che il futuro già allora prometteva. La guardavi illuminarsi e restavi a terra, mentre la nave salpava.

E’ andata bene così, anche se è andata male, anche se eravate felici e poi non lo siete state più. Poteva andare solo così, perché dovevi avere la certezza che amare volesse dire così tanto, e che finire significasse così poco.

 

durante amore e anche dopo Immagine presa qui: http://www.deviantart.com/art/Dejeuner-sur-l-herbe-123017588/caption

Più di sette minuti e mezzo

C’è della luce arancione che riempie la stanza, e con lei non il silenzio ma il rumore regolare delle auto che passano sulla statale di Melzo. Fuori non è affatto buio, una foresta di lampioni punteggia la notte frizzante di questa macchia urbana che stasera mi ospita per la seconda volta ed un rettangolo fatiscente si illumina della scritta HOTEL. Lo vedo dalla finestra, ma oggi lo squallore resta fuori da qui.
A volte alzo lo sguardo verso la luce arancione, cerco i verbi più afosi nella sua gradazione e aspetto che gentilmente le mie mani mi sfilino il dolore di dosso srotolandolo tra queste righe. Mi sembra di essere in ascolto, di reagire prontamente ad ogni percettibile segno di cedimento dei nervi. Cerco di catturarli, distenderli, voglio convincermi di averli sotto controllo, ma loro se ne stanno lì, immobili, tesi e terrorizzati come ratti. Non si fanno avvicinare, allontanano i pensieri che solitamente mi assediano. Non si lasciano curare.

Non si lasciano curare, ma so che come un vaccino veglieranno a lungo, a volte mi ammaleranno, un giorno mi salveranno. Con gli sbagli è così: se riescono a diventare la tua storia, non fanno più male.

Mi alzo per pochi minuti, torno al mio posto sul divano, rivolta verso una televisione spenta ed affiancata da mozziconi piegati. Sola, ma soltanto perché è molto tardi e mia sorella è a letto,a dormire. Solo per una frazione di secondo ho ricordato cosa mi spingesse a scrivere e subito dopo l’eclissi è cominciata, è venuto il buio, il tempo si è fermato di nuovo. Così ancora una volta sono i colori della stanza e i suoi odori e le lancette che spezzano i minuti a mantenermi sveglia.
Allora apro la mia playlist preferita e lascio che mi commuova senza ricordare perché desideri così tanto piangere. Quei pensieri, le motivazioni, la sofferenza.. li ho dimenticati all’improvviso. Eppure è tutto lì, dietro l’ombra della luna, tutto che disegna un’iridescente corona intorno agli sforzi della mia mente per cancellare ogni cosa. E’ una corona che non puoi guardare direttamente, ferisce gli occhi, rende cieco. E’ un’eclissi che dura molto più di sette minuti e mezzo.

Ma niente, non piango. Divago, mi guardo intorno, penso a qualsiasi cosa, il vaccino mi scivola tra le mani, guizza via, lontano. La corona continua a brillare, oscura.
E anche questa volta non c’è una conclusione. Ciò che dovrebbe uscire non esce. Ciò che dovrebbe entrare non può. I desideri non debbono essere realizzati e le fantasie graffiano come le spine di un cactus. Tutto brucia e si consuma, ancora niente si riduce in cenere o può essere spazzato via.

Vivo, ma in silenzio

Ho perso le parole.

Non ne ho più.

Ho cominciato un viaggio in cui emergevano fonemi vuoti, e poi figure retoriche che erano fili impalpabili e nervosi, oppure reti di significati cerebrali aridi ma pieni di coscienza.

Ho trasformato pensieri in voce e voce in caratteri, sono diventata quei caratteri, quei caratteri hanno ordinato il passato.

Poi un giorno ho perso le parole, adesso non so più parlare. Non di me, non di voi, non di ogni cosa che tuttavia mi avvolge e mi contiene come un abbraccio profondo e gentile.

Per ora fatico a scrivere anche solo la giustificazione al silenzio, che poi è questa qui.

Per adesso parlano altri sensi.

Sono viva in un silenzio che è solo quello della voce.

Poi si vedrà.

silenzio

Il punto della situazione

Siamo quasi a fine anno e da qualche settimana temo sia giunta l’ora di fare il punto della situazione. Dopo dodici mesi di autopubblicazione del mio racconto siamo tutti curiosissimi di sapere come sia andata (?). La farò breve per non ripetere quanto ho già scritto all’inizio, perché purtroppo di novità grandi non ce ne sono state.

  • Dati

    Ho guadagnato un totale di circa 130€ in un anno – non poco se pensate che dei 0.99cent a copia ne ricevo 0.33 alla volta. Facendo un rapido calcolo, e tenendo in considerazione un paio di mesi in cui ho alzato il prezzo del libro fino a 1.30€ per vedere cosa sarebbe cambiato, possiamo dire che abbia venduto circa 350 copie – non contando quelle scaricate gratuitamente nei giorni di promozione.

  • Feedback

    Ho ricevuto alcune critiche negative che potete trovare scritte su Amazon, alcune ben poco utili, altre di cui ho fatto tesoro. Ho ricevuto una buona parte di critiche positive, alcune di persone che conoscevo, altre di sconosciuti – le soddisfazioni maggiori, forse. Nel complesso, su circa 350 copie hanno recensito il mio libro poco più di 20 persone (potete leggerle quasi tutte qui), contando quelli che mi hanno contattata in privato o che hanno lasciato le loro recensioni sul proprio blog (ad esempio Bostonian Library, che ringrazio). E’ un buon risultato? Non lo so. Non voglio essere pessimista, non voglio sminuire quel che ho fatto e quel che altri hanno contribuito a fare. Sono contenta di come sia andata ma, per non smentire la mia natura umana, speravo meglio.

  • Editori

    Ad un certo punto, dopo i primi sei mesi, mi sono resa conto che nessuna casa editrice mi avrebbe risposto – fatta eccezione per chi già lo aveva fatto, in bene o in male (vedi qui la mia esperienza). Ho capito non tanto che l’attesa fosse giunta al termine massimo quanto che un racconto di una lunghezza tanto irrisoria, rispetto ai classici romanzi, a prescindere non sarebbe stato preso in considerazione per una pubblicazione cartacea. La sensazione che non fosse poi così valido è venuta dopo, a seguito anche di alcuni episodi che mi hanno tristemente portata ad odiare parte di quanto scritto.

  • Promozione

    La promozione gratuita di Amazon (Amazon Select, potete leggere qualcosa qui) è stata molto utile all’inizio, sulla spinta dell’onda generata dalla mia rete di contatti che ha cominciato a comprare il libro durante i primi mesi. Si è poi rivelata inutile quando priva di una spinta pubblicitaria, arrivando a vendere una o due copie al massimo in cinque giorni – irrisorie, considerato che le prime volte venivano scaricate intorno alle 80 copie. Alla fine ho deciso di rimuovere il libro da Amazon Select, pur lasciandolo sulla piattaforma Amazon, e renderlo nuovamente accessibile dalle altre librerie online. Apparentemente non c’è stato alcun cambiamento – nessuno pare aver comprato nulla da Feltrinelli e chi per lei – ma vedremo.

  • Facebook, blog e social

    I “Mi piace” su Facebook (trovate qui la mia pagina) sono rimasti praticamente stabili. A quei due/tre che si aggiungevano se ne vedevano altrettanti sottrarsi. Quel che è positivo è che grazie alla pagina FB – che la mia rete di contatti ha spesso generosamente condiviso sulla propria bacheca – si è mantenuta viva l’immagine di qualcosa al lavoro. Ho potuto pubblicare sul blog alcuni racconti o stralci di cose (potete leggerli qui) che ho scritto e che sono stati apprezzati grazie alla loro diffusione sui social. Quel che funziona di più forse è proprio il blog, che riceve ogni giorni circa una ventina di visualizzazioni probabilmente grazie alle informazioni che mi sono occupata di scrivere tempo fa proprio sulla mia esperienza di autopubblicazione.

E questo è quanto. Non c’è altro da dire, se non.. stay tuned perché prima o poi tirerò fuori qualcosa di meglio. Più prima che poi, speriamo. Nel frattempo, datevi da fare per sostenere i progetti di chi sogna di condividere pezzi di sé con il mondo.

Grazie a tutti,
Claudia T.

Autunno

Il Sole in Inverno

Il sole in inverno Immagine di http://nnikoo.deviantart.com//caption

Il sole in inverno ha un odore particolare. Lo sento che mi entra nelle narici con un tepore fragile, un po’ un fiocco di neve al contrario. Un fiocco di luce che ti riscalda la punta del naso e poi non ce la fa. Ti saluta con l’affetto di chi sa di dover andare via, esaudisce i desideri nostalgici dell’estate, ti promette che lo rivedrai presto, poi fugge.

E’ a questo che penso quando esco dal cinema con voi, ed è già sera. Fuori è buio, le luci artificiali ci fanno strada, sento subito l’odore dell’inverno che bussa per la prima volta, questo Ottobre. E’ l’inverno che piega i profumi in un modo tutto suo, li modella come facciamo noi con la neve, ce li restituisce nuovi e preziosi. Cammino al vostro fianco e guardando avanti penso che il fumo, in questa stagione, non assomigli per niente a quello estivo. Ha un odore di casa e coperte, di camino e caffè caldo, l’odore delle castagne e del gelo. L’odore dei guanti di lana. Quasi me li sento addosso.

Il film mi è piaciuto, apprezzo quando mi viene offerto un buon intrattenimento per due ore. Mi piace spendere soldi per una bella esperienza e mi sono abituata a spenderli in vostra compagnia, con le mani nelle vostre, con le spalle al vostro fianco, con i sorrisi nati nella nostra spontaneità. E’ per questo che cammino tra voi, quasi saltello di gioia, quasi dimentico quello che succede, quasi credo che sia tutto come prima. Guardo la luna, perfetta, disegnata con precisione, un sole di notte, e ricordo quando eravamo insieme, tutto era appena iniziato, le nostre mani si intrecciavano con l’acqua marina.

Cammino ancora, abbiamo fatto sì e no dieci passi, voi parlate, giocate, continuate ad avanzare, eppure a me sembra di restare indietro. Mi portate con voi ma dentro mi sono fermata, per guardarvi da dietro travolta dalle nostre stelle comete e i nostri segni del destino, quelli che non sono mai esistiti ma si sono vestiti da pennelli, hanno dipinto il quadro perfetto che oggi è sulla nostra strada. Il quadro in cui ogni pezzo è incastrato con l’altro, quello di cui non ci liberiamo, quello che sta strappando i nostri cuori in pezzi.

Quando i pensieri raggiungono i miei passi non riesco più a guardarvi. Ricordo che giorni fa pioveva e d’improvviso riuscivo a vedere e sentire ogni goccia di pioggia. D’improvviso il suo rumore era una consolazione, il pianto un battesimo dell’autunno. Il conforto che cercavo, proprio quando il sole non c’era più, batteva sui vetri dell’auto dov’ero sola, ed io lo facevo entrare.
Poi la pioggia è rimasta, ed ora cammina con noi.

Mediocre

Mi faccio un po’ pena.
Mi guardo da fuori quando pubblico qualcosa di profondamente mio, e mi vedo aggiornare la pagina ogni minuto, sperando quasi disperatamente di elemosinare qualche “mi piace”, qualche commento di interesse. Mi vedo fissare la pagina che ho creato per me stessa, temporeggiare in altre attività sperando di consumare il tempo che resta tra me e il prossimo complimento. Mi vedo fare di tutto, pensare di tutto, con il fine mai raggiunto di coinvolgere qualcuno che sia più di me stesso in queste mie grandi aspirazioni.
Mi faccio un po’ pena perché poi non accade nulla. Non succede niente, nessuno legge, nessuno visualizza, soprattutto nessuno apprezza. Quello che faccio non piace, non merita l’attenzione di nessuno, non merita il tempo, i click, lo sguardo di alcuno di questi amici.
Mi faccio pena perché ho bisogno di tutto questo, perché non posso farne a meno. Perché essere ignorata mi risuona dentro come un’eco che dichiara ogni giorno: non vali niente. Non sei nessuno. Quello che fai è brutto. Non hai nulla da dire. Non provi nulla. Non sei nulla.

Mi guardo ancora, sono passati diversi minuti da quando ho pubblicato l’ultimo contenuto. Ora che ci penso ho un deja-vu di tutte le volte che ci ho provato, ed improvvisamente mi raggiunge la certezza che anche questa volta sarà come le precedenti. Nessuno noterà quello che ho scritto ed io non saprò mai perché.
Mi difendo dicendomi che è questa la vita dell’artista. Che migliaia di artisti di strada dalle eccellenti abilità non vengono neppure notati dai passanti. Che con la scrittura è ancor più difficile e impegnativo, ché tutti devono impegnarsi troppo per arrivare alla fine di un testo. Mi difendo dicendomi che se la gente facesse questo piccolo sforzo scoprirebbe la mia grandezza.
Mi difendo così, ma in verità so che il punto è altrove. Nella mediocrità degli intenti, nella mediocrità del talento, nella mia mediocrità.
Mi faccio pena perché non voglio accettare questa mediocrità e mi nascondo nell’arroganza, nella superbia. Scrivo bene. Sono brava. Sono una scrittrice.
Oppure sono una persona mediocre che scrive in modo poco interessante.

E l’invidia che provo nei confronti di chi ha del vero talento, l’invidia che provo per chi riesce a vendersi semplicemente esistendo o per quelli che conservano integra la loro dignità nel farlo.. l’invidia che mi rende ancora più disperata. Ancora più sola. Ancora più mediocre, grigia nel grigio dell’inettitudine.

Continuo a scrivere selezionando le parole sbagliate.

1 2 3