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Comunione a vent’anni

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Era ancora un ragazzo quando aveva immaginato la sua morte. Aveva passato l’intera giornata in riva al lago, seduto in una zona sassosa, sempre scomodo e immobile perché la carne si adattasse al suolo spigoloso. C’era vento e tuttavia la giornata era molto calda, tra le più insopportabili che si fossero mai viste ad Elva, e il sole, immerso in un cielo così pulito da sembrare pallido, spremeva il sudore dai corpi con violenza, lasciandoli esausti e incapaci di pensare.

Luik sedeva sulla riva, all’evanescente ombra di un alberello instabile, guardava l’acqua del lago farsi blu ceruleo e riempirsi di piccole gemme di luce che ad occhi socchiusi sembravano insofferenti lucciole bianche, e contemplava l’idea di immergersi nella distesa d’acqua senza particolare fretta. Aveva vent’anni, il corpo quasi nudo coperto delle gocce d’acqua del bagno di pochi minuti prima, i capelli bagnati che disegnavano piccole curve scure sul viso sbarbato e su di esso un’espressione serena, ancora affatto scolpita dagli anni vissuti fino ad allora. Si era alzato dopo qualche minuto e aveva camminato verso l’acqua con attenzione, evitando i sassi più appuntiti, fino ad immergere l’estremità dei piedi e poi le caviglie dentro quella grande brodaglia fresca, quando un piccolissimo pesce verdastro si era avvicinato ad essi tentando di ricavarne qualche cosa, facendolo suo malgrado sussultare e cadere nella distesa d’acqua. Il silenzio intorno si era spento per un lungo attimo, mentre le onde rimettevano in ordine lo specchio in cui si era infine immerso, il suo corpo rosso dal sole, schiaffeggiato dalla differenza di temperatura.

Era rimasto seduto sul fondo melmoso, la testa e le spalle oltre la superficie e tutto il resto immerso, con un incredibile sollievo che gli attraversava le membra e gli ridava la vita, e allora aveva cominciato a pensare a quanto fosse completo l’essere lì, a quanto essere abbracciato dal lago e dal sole, dal bosco intorno e dai sassi sotto di lui, superasse di gran lunga qualunque cosa da lui provata. Gli sembrava di aver fermato ogni desiderio insoddisfatto ma di essere ancora profondamente immerso nel tempo, di far parte di qualcosa, di iniziare e finire in quello stesso equilibrio dei sensi. I suoi occhi riuscivano a cogliere l’interezza del lago, la sua pelle lo percepiva nella sua densità e nella sua storia di lago invernale, quasi mai caldo, e poi il suono delle onde appianava qualsiasi pensiero emergente, regalandogli una serenità che avrebbe voluto portare con sé sempre, ogni giorno. Così aveva realizzato, lasciandosi travolgere dalle piccole onde tiepide, che sarebbe stato davvero brutto morire in inverno. Che la morte non avrebbe mai dovuto colpirlo quando tutto questo non fosse completo e realizzato su di lui, quando non ci fosse la possibilità di salutare per un ultima volta quel Luik che aveva dentro acqua, terra e luce, che era insieme lago, bosco e cielo. Che se la morte l’avesse colto in quell’istante, allora l’avrebbe accettata e che sarebbe stato più che giusto che l’avesse portato con sé, lasciandolo sciogliersi insieme ad ogni pesce e foglia dentro il lago. Sembrava quasi ingiusto non poter scegliere che le cose andassero così, eppure sarebbe stato perfetto, la vita avrebbe fatto il suo corso, si sarebbe spenta in una morte che non sarebbe stata distruzione ma completamento, la totale, definitiva comunione con il mondo.

Aveva sentito molte volte parlare di questa sensazione, libri e aforismi riempivano bocche e biblioteche senza riuscire mai a cogliere più di una certa banalità, e solo in quel momento si era reso conto di quanto dietro simili luoghi comuni potesse trovarsi una verità così grande. Quella era la felicità tanto osannata, l’indescrivibile sensazione di essere colmati da una sorgente fresca nel giorno più caldo dell’estate, e diventarne parte, non essere mai stato lì ed essere lì da sempre, come un destino che mai avrebbe potuto evitare.

Anche quando si era dovuto alzare ed allontanare dall’acqua, aveva dovuto tornare a casa spinto dalla fame, pur lasciandosi alle spalle quel momento eterno, si era sentito cambiato, portava dentro qualcosa in più che sapeva avrebbe faticato a nascondere nella quotidianità. Da quel momento capì che non avrebbe mai potuto lasciare la sua terra, che Elva sarebbe stata la sua splendida, verdeggiante, fertile tomba.