Più di sette minuti e mezzo

C’è della luce arancione che riempie la stanza, e con lei non il silenzio ma il rumore regolare delle auto che passano sulla statale di Melzo. Fuori non è affatto buio, una foresta di lampioni punteggia la notte frizzante di questa macchia urbana che stasera mi ospita per la seconda volta ed un rettangolo fatiscente si illumina della scritta HOTEL. Lo vedo dalla finestra, ma oggi lo squallore resta fuori da qui.
A volte alzo lo sguardo verso la luce arancione, cerco i verbi più afosi nella sua gradazione e aspetto che gentilmente le mie mani mi sfilino il dolore di dosso srotolandolo tra queste righe. Mi sembra di essere in ascolto, di reagire prontamente ad ogni percettibile segno di cedimento dei nervi. Cerco di catturarli, distenderli, voglio convincermi di averli sotto controllo, ma loro se ne stanno lì, immobili, tesi e terrorizzati come ratti. Non si fanno avvicinare, allontanano i pensieri che solitamente mi assediano. Non si lasciano curare.

Non si lasciano curare, ma so che come un vaccino veglieranno a lungo, a volte mi ammaleranno, un giorno mi salveranno. Con gli sbagli è così: se riescono a diventare la tua storia, non fanno più male.

Mi alzo per pochi minuti, torno al mio posto sul divano, rivolta verso una televisione spenta ed affiancata da mozziconi piegati. Sola, ma soltanto perché è molto tardi e mia sorella è a letto,a dormire. Solo per una frazione di secondo ho ricordato cosa mi spingesse a scrivere e subito dopo l’eclissi è cominciata, è venuto il buio, il tempo si è fermato di nuovo. Così ancora una volta sono i colori della stanza e i suoi odori e le lancette che spezzano i minuti a mantenermi sveglia.
Allora apro la mia playlist preferita e lascio che mi commuova senza ricordare perché desideri così tanto piangere. Quei pensieri, le motivazioni, la sofferenza.. li ho dimenticati all’improvviso. Eppure è tutto lì, dietro l’ombra della luna, tutto che disegna un’iridescente corona intorno agli sforzi della mia mente per cancellare ogni cosa. E’ una corona che non puoi guardare direttamente, ferisce gli occhi, rende cieco. E’ un’eclissi che dura molto più di sette minuti e mezzo.

Ma niente, non piango. Divago, mi guardo intorno, penso a qualsiasi cosa, il vaccino mi scivola tra le mani, guizza via, lontano. La corona continua a brillare, oscura.
E anche questa volta non c’è una conclusione. Ciò che dovrebbe uscire non esce. Ciò che dovrebbe entrare non può. I desideri non debbono essere realizzati e le fantasie graffiano come le spine di un cactus. Tutto brucia e si consuma, ancora niente si riduce in cenere o può essere spazzato via.

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