Archive of ‘La “prima volta” dello scrittore’ category

Il punto della situazione

Siamo quasi a fine anno e da qualche settimana temo sia giunta l’ora di fare il punto della situazione. Dopo dodici mesi di autopubblicazione del mio racconto siamo tutti curiosissimi di sapere come sia andata (?). La farò breve per non ripetere quanto ho già scritto all’inizio, perché purtroppo di novità grandi non ce ne sono state.

  • Dati

    Ho guadagnato un totale di circa 130€ in un anno – non poco se pensate che dei 0.99cent a copia ne ricevo 0.33 alla volta. Facendo un rapido calcolo, e tenendo in considerazione un paio di mesi in cui ho alzato il prezzo del libro fino a 1.30€ per vedere cosa sarebbe cambiato, possiamo dire che abbia venduto circa 350 copie – non contando quelle scaricate gratuitamente nei giorni di promozione.

  • Feedback

    Ho ricevuto alcune critiche negative che potete trovare scritte su Amazon, alcune ben poco utili, altre di cui ho fatto tesoro. Ho ricevuto una buona parte di critiche positive, alcune di persone che conoscevo, altre di sconosciuti – le soddisfazioni maggiori, forse. Nel complesso, su circa 350 copie hanno recensito il mio libro poco più di 20 persone (potete leggerle quasi tutte qui), contando quelli che mi hanno contattata in privato o che hanno lasciato le loro recensioni sul proprio blog (ad esempio Bostonian Library, che ringrazio). E’ un buon risultato? Non lo so. Non voglio essere pessimista, non voglio sminuire quel che ho fatto e quel che altri hanno contribuito a fare. Sono contenta di come sia andata ma, per non smentire la mia natura umana, speravo meglio.

  • Editori

    Ad un certo punto, dopo i primi sei mesi, mi sono resa conto che nessuna casa editrice mi avrebbe risposto – fatta eccezione per chi già lo aveva fatto, in bene o in male (vedi qui la mia esperienza). Ho capito non tanto che l’attesa fosse giunta al termine massimo quanto che un racconto di una lunghezza tanto irrisoria, rispetto ai classici romanzi, a prescindere non sarebbe stato preso in considerazione per una pubblicazione cartacea. La sensazione che non fosse poi così valido è venuta dopo, a seguito anche di alcuni episodi che mi hanno tristemente portata ad odiare parte di quanto scritto.

  • Promozione

    La promozione gratuita di Amazon (Amazon Select, potete leggere qualcosa qui) è stata molto utile all’inizio, sulla spinta dell’onda generata dalla mia rete di contatti che ha cominciato a comprare il libro durante i primi mesi. Si è poi rivelata inutile quando priva di una spinta pubblicitaria, arrivando a vendere una o due copie al massimo in cinque giorni – irrisorie, considerato che le prime volte venivano scaricate intorno alle 80 copie. Alla fine ho deciso di rimuovere il libro da Amazon Select, pur lasciandolo sulla piattaforma Amazon, e renderlo nuovamente accessibile dalle altre librerie online. Apparentemente non c’è stato alcun cambiamento – nessuno pare aver comprato nulla da Feltrinelli e chi per lei – ma vedremo.

  • Facebook, blog e social

    I “Mi piace” su Facebook (trovate qui la mia pagina) sono rimasti praticamente stabili. A quei due/tre che si aggiungevano se ne vedevano altrettanti sottrarsi. Quel che è positivo è che grazie alla pagina FB – che la mia rete di contatti ha spesso generosamente condiviso sulla propria bacheca – si è mantenuta viva l’immagine di qualcosa al lavoro. Ho potuto pubblicare sul blog alcuni racconti o stralci di cose (potete leggerli qui) che ho scritto e che sono stati apprezzati grazie alla loro diffusione sui social. Quel che funziona di più forse è proprio il blog, che riceve ogni giorni circa una ventina di visualizzazioni probabilmente grazie alle informazioni che mi sono occupata di scrivere tempo fa proprio sulla mia esperienza di autopubblicazione.

E questo è quanto. Non c’è altro da dire, se non.. stay tuned perché prima o poi tirerò fuori qualcosa di meglio. Più prima che poi, speriamo. Nel frattempo, datevi da fare per sostenere i progetti di chi sogna di condividere pezzi di sé con il mondo.

Grazie a tutti,
Claudia T.

Autunno

Essere uno Scrittore “in divenire”

Per definirsi “scrittore” bisogna potersi mantenere con la scrittura, o comunque guadagnare tanto. Essere pubblicato da un editore, essere conosciuto e riconosciuto dalle persone come tale. Aver scritto almeno un paio di libri. 

Questo mi è sembrato emergesse da una recente discussione che ho avuto con una mia amica, a cui, dopo una lunga riflessione, non ho potuto nemmeno dare tutti i torti. Se qualcuno mi venisse a dire “io sono uno scrittore“, penserei che sia in possesso di almeno un paio delle suddette caratteristiche, se non addirittura tutte. In effetti io stessa faccio parte di una cultura in cui certi ruoli sembrano non poter fare a meno di un riconoscimento esterno. E’ così per qualsiasi cosa, eppure più ci penso più questo mi sembra sbagliato e assurdo. Va così di moda portare con fierezza il concetto di essere se stessi, non quello che gli altri ci dicono di essere, che mi stupisco di come invece categorie come “scrittore” o “musicista” o “pittore” vadano contro questa popolare corrente di pensiero. Mentre mi dico che devo conformarmi, che non tutti quelli che scrivono sono degli “scrittori”, in me nascono domande a cui non riesco davvero rispondere..

In base al guadagno?

Se per essere uno Scrittore devo guadagnare con i miei libri, basta che abbia guadagnato quei 25cent dalla vendita online dell’ebook? Anche se a comprarlo è stata mia madre?..probabilmente no. Allora QUANTO devo guadagnare, per potermi definire Scrittore? Devo potermi mantenere con i libri, farne un lavoro? Allora di Veri Scrittori devono essercene proprio pochi. E se valesse anche per la pittura, diamine, penso a Van Gogh, che non era affatto un Vero Pittore.

In base alla scelta degli editori?

Forse devo almeno essere pubblicata. Ma non autopubblicata, che è troppo facile, nè pubblicata pagando. Bisogna che un editore investa sul mio lavoro, che decida che vale la pena pubblicarlo a sue spese, perché lui capisce. Se lui dice che sono uno Scrittore, allora dev’essere vero. Ho ricevuto la proposta di un editore (NON a pagamento) e l’ho rifiutata, quindi ho perso la mia occasione di essere uno Scrittore. Oppure vale solo per gli editori di cartaceo, perché le proposte per gli ebook sono troppo facili, sono una scorciatoia. Per essere uno Scrittore devi sbatterti molto di più. Penso che forse nessuno mi pubblicherà mai in cartaceo, ma penso anche alla Rowling, che non dev’essere stata una Vera Scrittrice per molti anni, prima che qualcuno capisse il valore della sua opera. L’hanno rifiutata tantissimi editori, la Rowling, e in quel periodo lei era “una che scriveva“, non poteva certo definirsi Scrittrice. Oppure penso a quei personaggi pubblici, che hanno la fortuna di essere pubblicati solo per il loro nome, perché venderebbero anche migliaia di pantofole, se si sapesse che sono una loro creazione. Totti è uno Scrittore, ad esempio. Ma se poi l’editore è indeciso tra due libri e ne sceglie uno, scartando l’altro che pure gli piaceva moltissimo, solo il primo diventa uno Scrittore? E poi, essere un Vero Scrittore potrebbe dipendere dalla moda del momento? Se scrivo di vampiri è più probabile che diventi un Vero Scrittore, nel 2014, come i fantasy degli anni 2000? Dovrei scrivere storie sul Sadomaso, che adesso funzionano, in libreria. Allora un editore mi pubblicherebbe di sicuro, venderei di sicuro, sarei di sicuro un Vero Scrittore.

In base alla visibilità?

Penso agli altri, che devono riconoscermi come Scrittore, e penso a tutti quelli “che scrivono” e sono stati pubblicati, di cui nessuno conosce il nome e di cui nessuno conosce l’esistenza. Ma hanno pubblicato, e magari guadagnano pure poco, perché il loro libro è stato un fallimento, e mi chiedo..sono Veri Scrittori? Oppure non sono degni di tale nome? E se uno ha più soldi di un altro, per la pubblicità, o è più raccomandato, o più famoso pur per altri motivi, non è un po’ più facile che a parità di tutto il resto venga riconosciuto come Scrittore?

Ascolto queste domande senza risposta che continuano a martellarmi mentre discuto con mia mamma. Lei dice che non sono una Scrittrice, non ancora, e mi rendo conto che forse il dolore che provo nell’affrontare questo discorso viene dal fatto che ha ragione. Se la nostra cultura vuole questo, se la nostra cultura pretende che possediamo almeno un paio delle suddette caratteristiche per definirci “Scrittori”, pur senza rispondere alle mie domande, allora è vero. Non sono una Scrittrice. Anzi, sono quasi tentata di rifiutare questo appellativo completamente, perché sembra che sia sinonimo di arroganza, di presunzione. Mi sono definita, a volte e timidamente, una “scrittrice”, magari in erba, senza rendermi conto di come in quelle parole le persone potessero fraintendere l’orgoglio di potersi riconoscere nei propri piccoli traguardi, con l’arroganza nel pretendere di essere qualcosa di così importante e a cui tanti aspirano.

So benissimo che non sono nessuno. Che scrivere un raccontino di trenta pagine non è nulla, che ci sono persone più brave, più laboriose, più impegnate, che vincono concorsi, pubblicano libri, scrivono ogni giorno nuovi racconti, sanno farsi molto meglio pubblicità. Non ho mai detto di essere una Scrittrice con l’arroganza di chi si crede qualcosa di grosso, magari di migliore di molti altri.

L’ho sempre detto perché penso che sia giusto riconoscere a me stessa non solo i risultati concreti, i soldi guadagnati, il numero di libri scritti, il numero di proposte ricevute, il numero di complimenti, ma anche la volontà di raggiungere un traguardo, l’impegno nel cominciare a conseguire un certo percorso, la regolarità con cui tale impegno viene messo in pratica, la sincerità con cui esprimo a me stessa il mio obiettivo, senza i luoghi comuni di una falsa umiltà. Questo per me significa ESSERE qualcosa. Essere in un divenire, non essere in alcuni traguardi predefiniti – da chi?

Quindi scrivo ma no, non sono uno Scrittore, non nel senso che mi sembra gli dia la società. Lo accetto, lo accettavo anche prima, mio malgrado. Ma per tutto quello che investo nella scrittura, e quello che ho investito in passato, e l’importanza che ha sempre ricoperto nella mia vita, scusate ma

anche se non sono una Scrittrice, io MI SENTO una Scrittrice.

Che la società sia d’accordo o no.

E il giorno in cui non mi sentirò più una Scrittrice, non lo sarò più. A prescindere dai soldi che avrò guadagnato. Dai libri che avrò scritto. Dalle persone che mi riconosceranno.

Per correttezza e completezza, ho letto e dunque vi posto alcuni articoli che sostengono una tesi diversa dalla mia:

Scrittori in Causa (interessante articolo e commenti): clicca qui 
– IoScrittore (che apre più che altro una serie di ulteriori dubbi): clicca qui
– Topper Harley (che esprime anche un concetto su lettore vs scrittore che un giorno approfondirò): clicca qui
– Salvatore Anfuso (in questo caso esprime invece la mia stessa idea): clicca qui
– de Agostibus (interessanti distinzioni tra aspirante, esordiente, affermato): clicca qui
(Grazie sempre a De Agostibus per l’immagine che ho messo come immagine in evidenza)

La prima critica non si scorda mai

Bene o male, purché se ne parli

..o forse no. Perché le recensioni negative sui libri possono essere una doccia fredda, se quei libri li abbiamo scritti noi.

Ci diciamo tutti, e non manchiamo di comunicarlo ai nostri lettori, che siamo disposti ad accettare le critiche, se costruttive, e che da un giudizio negativo sia sempre possibile imparare qualcosa. Ce lo suggeriscono ragione e senso comune, ed è davvero raro che qualcuno, al giorno d’oggi, ammetta esplicitamente di mal tollerare le critiche. Dopotutto arroganza e presunzione non sono un buon biglietto da visita, specie per un artista.
Così la critica arriva, spesso timidamente, ma dai primi amici o parenti, si affaccia dietro rassicurazioni che abbiamo sentito tutti “mi è piaciuto moltissimo, il tuo libro, sei molto brava. Ma..” ..eccolo. Il ma è infido e lo ascoltiamo con un solo orecchio, cercando poi di giustificarne gli echi con le strategie che negli anni abbiamo imparato. Lo nascondiamo alla memoria, dimenticandocene, o lo infiliamo subito nella categoria delle eccezioni. A volte viene molto facile pensare che quel ma sia dovuto a gusti personali del lettore (o fruitore dell’opera, perché in questo caso non si parla solo di libri), la soggettività e la relatività diventano improvvisamente concetti di grande importanza. E poi diciamocelo, vincono i grandi numeri, anche se spesso quei numeri sono parenti o amici.

“La critica è giusta e necessaria. Bisogna accettarla, apprezzarla, utilizzarla”.

Su questo siamo tutti d’accordo, credo, e lo sono anche i moltissimi blog che ne parlano.
Nessuna di queste certezze, comunque, ti prepara alla critica vera e propria. Quella che arriva dallo sconosciuto lettore, quello sincero e disinteressato, che ha investito dei soldi o del tempo nella tua opera. Avevo accennato altrove al potere che questo fantomatico lettore anonimo ha in mano, in bene o in male, ma non ho mai avuto occasione, fino ad oggi, di sperimentarne la porzione negativa. Infine è arrivata, ed arriva per tutti, questo lo sappiamo, ed è stata.. beh, è stata dura proprio come immaginate. E nonostante tutte le belle parole su soggettività, relativismo, costruttività delle critiche eccetera, mi sono trovata prima di tutto immersa in un’irragionevole rabbia verso questa persona. E verso me stessa, consapevole di quanto questo abbia reso ipocrita le suddette belle parole. Sono cose di cui nessuno parla, queste. Sono cose a cui nessuno ti prepara.

Dunque, da un momento all’altro, la critica negativa ti travolge, ti fa arrabbiare, ti delude, ti intristisce ed infligge un duro colpo alla tua autostima di artista. Ti porta a cercare di rimediare con le strategie che ho già citato o addirittura ad assecondare la critica, a crederle alla cieca, a perdere completamente l’orientamento in un mondo diviso tra chi crede che la tua opera sia un capolavoro e chi la trova addirittura ridicola. Infine la critica negativa ti spinge a guardare verso te stesso e mettere sui piatti della bilancia non solo il tuo lavoro ma la tua stessa persona, le tue capacità, il tuo carattere. A questo punto la rabbia passa in secondo piano e così anche il dispiacere, in favore di una consapevolezza maggiore, che è anche un modo di fare autocritica.

recensioni negative sui libriLa consapevolezza a cui mi riferisco è quella che, prima di farti chiedere se la tua opera sia davvero un disastro o che chi l’ha criticata sia solo un ignorante, passa al vaglio la critica stessa. La spezzetta, chiedendosi che cosa, in essa, possa essere uno spunto per migliorarci, e che cosa, invece, sia solo il frutto di gusto personale del lettore. Non si tratta di un’analisi oggettiva, che farà venire fuori chissà quale verità assoluta o punto di svolta nell’elaborazione di questo triste colpo all’autostima, è tuttavia un modo per ridimensionarne l’entità e riportarlo sul piano di realtà. Una critica da sola spesso non basta, sui grandi numeri è più facile fare un confronto, ma sono del parere che nel creare qualcosa, al di là del legame affettivo che si possa avere con la propria ‘creatura’, sia anche possibile riconoscerne i punti deboli – e quelli forti, si intende.

Concludo con un esempio concreto, quello da cui è nata questa mia riflessione.
Dalla critica che ho ricevuto, e mi riferisco alla più dura, che trovate qui, dopo il primo momento di sconforto ho compreso che la scrittura ricercata non sia necessariamente un difetto drammatico, come tale critica sembrava volesse farlo passare, ma che di certo sia un elemento discriminante per alcuni lettori che preferiscono uno stile diretto. Se avessi d’improvviso pensato che quelle parole fossero oro colato, avrei dato troppa importanza al parere del singolo, dimenticando quello di altri – non solo amici o parenti – che invece hanno particolarmente apprezzato quello stesso stile. Nessuno ha in mano la Verità, perché di verità ne esistono molte. D’altronde, se avessi del tutto ignorato quella recensione, oltre a peccare d’arroganza, avrei di certo perso un indizio importante per il mio percorso di scrittura: usare parole ricercate e periodi complessi non è sinonimo di bravura né porta necessariamente con sé l’apprezzamento di tutti i lettori.
Spero di farne un punto di partenza per migliorare il mio modo di scrivere e per imparare a tollerare pareri negativi senza smettere di fare quello che mi piace: scrivere.

Poco dopo aver finito di scrivere questo articolo ne ho trovato uno simile su Anima di Carta. Ve lo link qui sotto, per correttezza:
– Come reagire alle critiche e alle recensioni negative (Anima di Carta)

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Apologia del Libro Vero (ovvero quando parlare del “libro che ho scritto” è più arduo del previsto)
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Apologia del Libro Vero

Questo non è un Libro.

Scontrandomi con me stessa, guardo alla mia opera con l’orgoglio di un genitore. Eppure mi capita, a volte, di pensare che no, quello non è un Libro. Non solo per la sua forma digitale, dai contorni impalpabili e volatili, come si potrebbe pensare in un primo momento. Sento che quella è una mia creatura, ma la rinnego, non la chiamo Libro. Libro è troppo. Libro è altro.

Cos’è un Libro?

Il Libro è quello che scrivono i grandi scrittori. Anche se non ci piace, anche se si chiama, chessò, Cinquanta Sfumature di Grigio, quello è un Libro. Quello che si può comprare ad un prezzo alto, ma soprattutto quello che si può vendere, ad un prezzo alto. Quello che spinge l’editore ad investire una piccola fortuna, quello in cui qualcuno ha creduto fino al punto di spingerlo nelle librerie – non i Caffè Letterari, non le Librerie Indipendenti, badate bene. La Feltrinelli, semmai, la Mondadori. QUELLE librerie. E’ lì che troviamo il Libro. Il Libro Vero, con le maiuscole ovunque si possano mettere le maiuscole. Il Libro che quando lo hai letto puoi parlarne con gli amici. Non importa che ti sia piaciuto, solo che se ne parli, che te ne possa vantare se non altro per cultura. Il libro di cui si parla, quello è un Libro. Che poi è così che ha avuto successo, se ne è parlato. Ma da dove è iniziato, questo passaparola, poi? Da chi? Il Libro è quello che vende sia in cartaceo che in digitale. E’ quello che ha almeno 200 pagine, ma sarebbe meglio ne avesse 300, tanto alla fine scorre. Libro è quello di J.K Rowling ma anche quello di Francesco Sole, che non è proprio un libro vero, ma forse sì, perché è così che dicono: lui ha scritto un Libro. Quindi Libro è chi lo scrive o chi lo vende. Libro è quello che non ha bisogno di scrivere ai blog letterari, ai forum, alle pagine Facebook che oggi lo trovate gratis, o che domani c’è la promozione con il 50% di sconto. E’ quello che si vende da solo, anche al supermercato, tra i libri-gioco per bambini e i ricettari per casalinghe.

Allora riflettendo su tutto questo a volte penso di non essere uno scrittore. Anzi, uno Scrittore.
Perché lo Scrittore è quello che scrive un Libro, quello di cui ti ricordi il nome, quello per cui sei disposto ad arrivare anche alla seconda pagina di Google, per cui vale la pena cercare anche dopo che il primo link ha fatto cilecca. Quello con settantacinque recensioni su Amazon, belle o brutte, ma probabilmente autentiche. Io arrivo a otto e chissà quante non sono state scritte da parenti e amici. Avrei dovuto nascere in una famiglia più numerosa. O più furba. O più colta.

L’Identità dello Scrittore è complessa, indefinita, senza limiti. Me ne accorgo rileggendomi, che non so Chi sono e non so Cosa voglio. E che vorrei che foste voi o gli altri o chiunque a chiamarmi Scrittore, perché da sola non ce la faccio. Da sola mi sembra di sussurrarlo in mezzo a giganti che se lo sentono gridare dalle montagne, e che invece di portarmi sulle loro spalle mi calpestano. Ignari, per carità. O ciechi. Comunque uno gnomo tra i giganti, che insomma, quanto può durare?

Eppure, mentre voi ed io diciamo che quell’operetta Libro non è di certo, storpia e piccola e immatura e digitale, lei è venuta alla luce là dove centinaia di altre opere sono rimaste incompiute. Non sarà degna della maiuscola, ma forse ce l’ha fatta, a guadagnarsi almeno la parola.

libro

L’importanza del Lettore Sconosciuto

Scrivi un libro, una storia, un racconto, qualcosa. Te lo pubblichi da solo, perché adesso è così, si può fare, ti leggeranno. E lo mandi a più persone possibile, amici, parenti, fidanzata, amici di amici, parenti di amici, tutta la (piccola) rete a cui puoi fare riferimento. Non è che preghi, però tra le righe suggerisci di recensirti, o magari nemmeno tra le righe, perché tanto gli è piaciuto o così dicono, ti convinci che non sia una cosa di parte. Magari non lo è davvero, eh. Ma quella pulce nell’orecchio ce l’hai, che tutta questa sia accondiscendenza, che il parere positivo di tutte queste persone non sia poi così sincero, o lo sia ma influenzato dalla benevolenza che ciascuno ha nei tuoi confronti.

Non nego l’importanza di chi voglia incoraggiarmi né quella di chi effettivamente ha stimato il mio lavoro in qualche forma, tuttavia personalmente non riesco ad apprezzare del tutto questo tipo di feedback. O meglio, lo apprezzo ma il suo valore lo avverto come molto limitato. Mi rendo conto che possa sembrare offensivo nei confronti di chi ha messo la sua sincerità al servizio di una critica al mio lavoro, ma è innegabile: le critiche positive di chi mi conosce non posso considerarle come il raggiungimento di un traguardo intero. Forse un pezzetto. Ma non tutto.

Una sera, mentre riguardi per la quindicesima volta la tua pagina su Amazon, tu, unica a farlo, alla ricerca di una risposta che non arriva, decidi per l’ennesima volta di fare quello sforzo odioso di promuoverti ricordando ai venti siti a cui ti sei iscritta che ci sei anche tu. E la tua opera. Apri il forum, vai sul post autodedicato al tuo libro e toh, qualcuno ha commentato. A nulla serve il pessimismo che già immagina che si tratti del moderatore del sito, nulla a che fare con il contenuto del post, perché quando lo apri vieni sorprendentemente smentito.

Quello che mi è capitato è stato leggere il commento di una persona, uno sconosciuto, che aveva letto il mio racconto per davvero, e aveva commentato per davvero, e mi aveva cercata, perché gli era piaciuto. Per davvero. Lui lo sa già,  ma lo scrivo anche qui perché ritengo questo momento un nodo importantissimo del mio percorso: che qualcuno sia rimaso colpito da quanto da me creato al punto di volermelo comunicare, al punto di fare quello sforzo di cercare altre recensioni o informazioni, una “piccolezza” di cui nemmeno la mia rete di conoscenze è stata capace, è una soddisfazione estrema e, finalmente, completa.

Questo è, finora, per me, uno dei frutti più importanti di quello che ho fatto.

Farsi conoscere come scrittore(?): incapacità congenita

Farsi conoscere come scrittore è una sfida ardua. Persino scrittori con un curriculum piuttosto notevole incontrano l’ostacolo dell’anonimato, in un panorama letterario dove i libri vengono acquistati e quindi letti soprattutto grazie al passaparola. Oltre alla necessità di raggiungere più persone possibile, specie se parliamo di ebook autopubblicati, mi sto lentamente accorgendo di una banalità: allargare il bacino di lettori oltre parenti, amici e conoscenti è un traguardo già piuttosto importante. E molto, molto difficile.
Anche in questo caso l’inesperienza convince a cominciare dal basso, dal partecipare a qualunque iniziativa a cui si viene invitati, all’inviare gratuitamente il manoscritto a chi potrebbe essere interessato a leggerlo ed eventualmente dare un feedback, tuttavia non nego di avere l’impressione che queste mosse capillari siano un piccolo buco nell’acqua. Fa sempre piacere che qualcuno si mostri interessato, ma il punto è proprio in quanto detto prima: il passaparola, che non avviene.
Ho sempre pensato, ingenuamente, che se un libro fosse stato valido, allora sarebbe stato apprezzato da un buon numero di lettori, non tenendo conto del fatto che un libro, per essere apprezzato deve anche essere letto – una fatica da non sottovalutare, a quanto pare.

Per il momento mi sono mossa solo tramite canali molto piccoli: iscrizioni a gruppi sui social, siti web, blog di svariato genere; ho inviato qualche mail ai siti che offrivano servizi di recensioni – critiche nel bene e nel male, non a pagamento – senza mai ricevere alcuna risposta; mi sono iscritta al conosciuto e a mio avviso molto utile Writer’s Dream, un sito (e forum) per scrittori visitato da chi la pubblicazione ancora se la sogna e da chi, invece, ha raggiunto il proprio scopo con prodotti notevoli; ho contattato amici di amici che si interessassero di scrittura e proposto loro la lettura del mio racconto. Con una certa amarezza quello che ha avuto più successo, tra tutte queste cose – lo dico sottolineandovi il caso particolare. Sono certa che non valga per tutti – è stato il passaparola ad amici di parenti. Gli adulti che hanno saputo di questo libro sono stati i più disponibili non solo alla lettura, ma anche alla recensione.

Sono del parere che non tutti siano capaci di autopromuoversi, e non per una questione di abilità mancante, quanto per una questione morale. Per quel che mi riguarda, e non sono l’unica, non tutti riescono a trattare il proprio come un prodotto che bisogna indurre gli altri a comprare. Se lo scopo è quello di essere apprezzati a prescindere dalla pubblicità e da quanto si è bravi a “spingere il proprio carro“, allora l’autopromozione diventa un piccolo tabù non indifferente che personalmente non sono ancora stata in grado di superare come avrei voluto.

Farsi conoscere come scrittore

Per quel che riguarda le piccole occasioni, i concorsi, le riviste di narrativa e via dicendo, ho scoperto proprio in questi giorni quello che per me è un limite ma che per alcuni potrebbe essere un suggerimento interessante: produrre del materiale pronto all’uso, nel caso qualcuno lo richieda per valutare il vostro stile o includerlo in eventuali raccolte. Se molti hanno spesso decine di cartelle piene di racconti, raccontini, romanzi e quant’altro, non è cosa scontata per tutti, e non tutti riescono a lavorare sotto pressione nel caso che tale materiale venga richiesto in tempi brevi, pena la perdita di un’occasione.

Il mio consiglio è, perciò, di avere pronto del materiale interessante da proporre per “presentarvi”, un po’ come il portfolio di qualunque altro genere di artista, e di cui con la scrittura non si parla mai. E magari diffonderlo il più possibile: meglio “spammare contenuti veri e propri che pubblicità. O almeno, questo è quello che farò io.