La prima critica non si scorda mai

Bene o male, purché se ne parli

..o forse no. Perché le recensioni negative sui libri possono essere una doccia fredda, se quei libri li abbiamo scritti noi.

Ci diciamo tutti, e non manchiamo di comunicarlo ai nostri lettori, che siamo disposti ad accettare le critiche, se costruttive, e che da un giudizio negativo sia sempre possibile imparare qualcosa. Ce lo suggeriscono ragione e senso comune, ed è davvero raro che qualcuno, al giorno d’oggi, ammetta esplicitamente di mal tollerare le critiche. Dopotutto arroganza e presunzione non sono un buon biglietto da visita, specie per un artista.
Così la critica arriva, spesso timidamente, ma dai primi amici o parenti, si affaccia dietro rassicurazioni che abbiamo sentito tutti “mi è piaciuto moltissimo, il tuo libro, sei molto brava. Ma..” ..eccolo. Il ma è infido e lo ascoltiamo con un solo orecchio, cercando poi di giustificarne gli echi con le strategie che negli anni abbiamo imparato. Lo nascondiamo alla memoria, dimenticandocene, o lo infiliamo subito nella categoria delle eccezioni. A volte viene molto facile pensare che quel ma sia dovuto a gusti personali del lettore (o fruitore dell’opera, perché in questo caso non si parla solo di libri), la soggettività e la relatività diventano improvvisamente concetti di grande importanza. E poi diciamocelo, vincono i grandi numeri, anche se spesso quei numeri sono parenti o amici.

“La critica è giusta e necessaria. Bisogna accettarla, apprezzarla, utilizzarla”.

Su questo siamo tutti d’accordo, credo, e lo sono anche i moltissimi blog che ne parlano.
Nessuna di queste certezze, comunque, ti prepara alla critica vera e propria. Quella che arriva dallo sconosciuto lettore, quello sincero e disinteressato, che ha investito dei soldi o del tempo nella tua opera. Avevo accennato altrove al potere che questo fantomatico lettore anonimo ha in mano, in bene o in male, ma non ho mai avuto occasione, fino ad oggi, di sperimentarne la porzione negativa. Infine è arrivata, ed arriva per tutti, questo lo sappiamo, ed è stata.. beh, è stata dura proprio come immaginate. E nonostante tutte le belle parole su soggettività, relativismo, costruttività delle critiche eccetera, mi sono trovata prima di tutto immersa in un’irragionevole rabbia verso questa persona. E verso me stessa, consapevole di quanto questo abbia reso ipocrita le suddette belle parole. Sono cose di cui nessuno parla, queste. Sono cose a cui nessuno ti prepara.

Dunque, da un momento all’altro, la critica negativa ti travolge, ti fa arrabbiare, ti delude, ti intristisce ed infligge un duro colpo alla tua autostima di artista. Ti porta a cercare di rimediare con le strategie che ho già citato o addirittura ad assecondare la critica, a crederle alla cieca, a perdere completamente l’orientamento in un mondo diviso tra chi crede che la tua opera sia un capolavoro e chi la trova addirittura ridicola. Infine la critica negativa ti spinge a guardare verso te stesso e mettere sui piatti della bilancia non solo il tuo lavoro ma la tua stessa persona, le tue capacità, il tuo carattere. A questo punto la rabbia passa in secondo piano e così anche il dispiacere, in favore di una consapevolezza maggiore, che è anche un modo di fare autocritica.

recensioni negative sui libriLa consapevolezza a cui mi riferisco è quella che, prima di farti chiedere se la tua opera sia davvero un disastro o che chi l’ha criticata sia solo un ignorante, passa al vaglio la critica stessa. La spezzetta, chiedendosi che cosa, in essa, possa essere uno spunto per migliorarci, e che cosa, invece, sia solo il frutto di gusto personale del lettore. Non si tratta di un’analisi oggettiva, che farà venire fuori chissà quale verità assoluta o punto di svolta nell’elaborazione di questo triste colpo all’autostima, è tuttavia un modo per ridimensionarne l’entità e riportarlo sul piano di realtà. Una critica da sola spesso non basta, sui grandi numeri è più facile fare un confronto, ma sono del parere che nel creare qualcosa, al di là del legame affettivo che si possa avere con la propria ‘creatura’, sia anche possibile riconoscerne i punti deboli – e quelli forti, si intende.

Concludo con un esempio concreto, quello da cui è nata questa mia riflessione.
Dalla critica che ho ricevuto, e mi riferisco alla più dura, che trovate qui, dopo il primo momento di sconforto ho compreso che la scrittura ricercata non sia necessariamente un difetto drammatico, come tale critica sembrava volesse farlo passare, ma che di certo sia un elemento discriminante per alcuni lettori che preferiscono uno stile diretto. Se avessi d’improvviso pensato che quelle parole fossero oro colato, avrei dato troppa importanza al parere del singolo, dimenticando quello di altri – non solo amici o parenti – che invece hanno particolarmente apprezzato quello stesso stile. Nessuno ha in mano la Verità, perché di verità ne esistono molte. D’altronde, se avessi del tutto ignorato quella recensione, oltre a peccare d’arroganza, avrei di certo perso un indizio importante per il mio percorso di scrittura: usare parole ricercate e periodi complessi non è sinonimo di bravura né porta necessariamente con sé l’apprezzamento di tutti i lettori.
Spero di farne un punto di partenza per migliorare il mio modo di scrivere e per imparare a tollerare pareri negativi senza smettere di fare quello che mi piace: scrivere.

Poco dopo aver finito di scrivere questo articolo ne ho trovato uno simile su Anima di Carta. Ve lo link qui sotto, per correttezza:
– Come reagire alle critiche e alle recensioni negative (Anima di Carta)

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